Voglio trascendere questa orribile eredità paterna,
trasformare tutto il fango in materia nobile.
In questo libro Caroline Darian – cognome di fantasia prodotto dalla fusione dei nomi dei fratelli David e Florian- racconta in forma di diario la vicenda che ha sconvolto la sua famiglia: il padre, Dominique Pelicot ha somministrato alla moglie per anni cocktails di farmaci ansiolitici, ipnotici, antistaminici, per renderla incosciente, in modo da permettere a sconosciuti di abusare sessualmente di lei e filmare gli stupri. Queste dosi massicce di farmaci hanno provocato nella donna vuoti di memoria e disturbi cognitivi che si sono protratti per lungo tempo, tra le angosce e preoccupazioni dei figli che non riuscivano a dare un nome a quello che stava succedendo alla madre.
Il processo a Pelicot si è concluso nel dicembre 2024. Il libro è il resoconto del primo anno a partire dal momento in cui la figlia viene a conoscenza della vicenda, il 2 novembre 2020 alle 20.25, momento che provoca una profonda lacerazione in Caroline, il trauma in cui il tempo si ferma, non esiste un prima e un dopo, solo l’abisso: “ Che tipo di futuro puoi costruire quando il tuo passato è stato raso al suolo completamente?”. Questo vissuto traumatico si propaga come un’onda d’urto nello spazio intersoggettivo, non colpendo solo la madre di Caroline ma coinvolgendo e destabilizzando tutta la famiglia: tale violenza traumatica provoca un’importante alterazione delle relazioni famigliari e introduce inevitabili malintesi.
L’autrice si butta a capofitto nella scrittura; nello stile asciutto troviamo le tracce di meccanismi di difesa come conseguenza del crollo: stati di dissociazione mescolati a reminiscenze che riaffiorano alla memoria; molto significativo il dialogo tra Caroline e il perito psichiatra nominato dalla giudice istruttrice, in cui emerge una figura del padre dispotica e aggressiva con la madre, fin dall’infanzia di Caroline.
Proprio la scrittura avvia un duplice processo: disconoscere il padre - intento già dichiarato nel titolo E ho smesso di chiamarti papà, nell’uso di un cognome di fantasia e nella richiesta anagrafica di sostituire il terzo nome (Dominique) del figlio Tom, con quello del fratello David-, accettare l’abbandono della madre Gisele, che dimostra da subito una difesa di ambiguità nei confronti del marito; a livello intrapsichico la posizione ambigua possiede una qualità mimetica che protegge, con l’adattamento, l’obnubilazione, l’indifferenza affettiva, il resto della personalità che rimane come sospesa e lontana – così appare Gisele nella descrizione della figlia - , funzionando come un lieve diniego (Bleger, 1967).
Caroline affronta la solitudine, il suo lutto di figlia e il suo sentirsi orfana. Un tema fondamentale che accompagna tutto il libro è l’impegno sociale dell’autrice nella lotta contro la sottomissione chimica. Caroline non accetta di prendere farmaci durante le sue crisi nervose, vuole mantenersi vigile, è un animale ferito, braccato, perché lo sguardo incestuoso del padre è caduto anche su di lei – Somiglio molto a mia madre, lo diceva spesso anche lui. Ora però so anche che per la madre dei suoi figli non ha mai avuto il minimo di rispetto. È proprio figlia di sua madre, dice in questi commenti, riferendosi a me, non dice mai mia figlia o nostra figlia. È una dissociazione vera e propria: se io non sono sua figlia e lui non è mio padre, allora posso diventare anch’io uno dei suoi oggetti sessuali-.
Lo sguardo incestuoso del padre impegna Caroline in un doloroso percorso di straniamento della figura paterna. Il relato è una continua decostruzione di tale figura che, fino a quel momento, costituiva una parte di Sé, come oggetto interno, che si sgretola davanti a episodi e testimonianze che provocano vergogna, rabbia e impotenza, obbligando la narratrice in un complesso processo psichico di “de-filiazione”. L’incesto provoca orrore, genera un’intensità emotiva, il trauma blocca la capacità di pensare, sconfinando in un silenzio carico di no-senso, inspiegabile, impensabile e indicibile. Caroline scrive per ricostruire i fatti con l’intento di comprendere, di pensare. Leggendo il libro si ha la sensazione di un pozzo senza fondo, come se ciò che si è scoperto nel primo anno di indagini sia solo la punta dell’iceberg.
Dominique Pelicot è un vojeur, che scatta fotografie nei supermercati sotto le gonne di alcune donne, per poi scoprirsi un perverso criminale, quando la polizia troverà tutto il materiale pornografico, i video girati degli stupri della moglie che potevano durare anche più di 5 ore, i siti internet in cui adescava uomini con lo scopo di partecipare alle violenze. Non esiste consensualità in questi rapporti tra vittima e carnefice: nella criminalità perversa il violentatore agisce contro e indipendentemente dalla vittima.
Dominique è anche il figlio del nonno Denis – che per le donne aveva solo parole di disprezzo e non perdeva occasione di offenderle. Diceva che erano di intelligenza limitata, buone solo per i lavori di casa- . Lo stesso nonno che alla morte della moglie prende come compagna una ragazza, Lucille, che aveva cresciuto insieme con la moglie, fin da bambina. Una relazione con una persona del tutto priva di difese, con gravi deficit cognitivi e intellettuali. Una costellazione familiare già compromessa: se il nonno sceglie Lucille, una giovane la cui psicopatologia pregiudica la capacità di pensiero, anni dopo il figlio Dominique toglierà alla moglie Gisele la facoltà di pensare attraverso la somministrazione di sostanze.
Nella forma di perversione descritta nelle indagini riguardanti il processo, Dominique Pelicot si configura come un perverso in cui l’attacco distruttivo si accompagna a una speciale forma di piacere: il dominio assoluto sulla moglie, priva di sensi, a cui si può fare quello che si vuole. La parola dominio torna spesso nei resoconti di Caroline, Il dominio è anche il titolo di un quadro presente nella casa di famiglia, dipinto da Dominique, che ritrae una donna nuda. È la componente della padronanza e del possesso che cerca di essere appagata nelle pratiche pseudo sessuali esercitate. Nel libro La perversione sado-masochistica, De Masi parla del male assoluto della perversione, in cui non esistono emozioni o sentimenti negativi ma domina l’indifferenza, in cui si cerca il male per il piacere del male, per la sete di dominio su un soggetto completamente acquiescente. Il male assoluto della perversione coincide con il raggiungimento del potere assoluto che è possibile in una particolare scenografia, come appare quella architettata da Pelicot: i tentativi riusciti di isolare la moglie da relazioni con l’esterno, spogliarla della capacità di pensare, il suo descriverla come malata, fino ai tentativi di manipolazione attraverso le lettere dal carcere che avranno il potere di spaccare la famiglia. Tutto questo ha la funzione di desoggettivare l’altro: secondo Micati, l’oggetto del perverso non esce da un circuito narcisistico, esso è trattenuto in una condizione limite tra l’umano e l’inumano; gli è riconosciuta quel tanto di esistenza sufficiente per svolgere una funzione di protesi in un legame che è devitalizzato e ripetitivo.
L’orrore che atterrisce nella personalità di Dominique è il senso di superiorità e disprezzo che dà diritto a un uso del corpo della moglie senza limiti. Le pratiche sessuali raccolte nelle indagini hanno un carattere compulsivo: gli stupri vanno avanti nell’arco almeno di 10 anni. -A spiazzarmi completamente è il linguaggio che usa con i suoi complici quando parla di mia madre: sboccato, offensivo, umiliante. Incontro così un’altra faccia di mio padre a me del tutto ignota.- scrive Caroline, riportando le chat tramite l’avvocata che la seguirà nel processo, che svelano le fantasie morbose del padre e tutta la costruzione messa in campo nel preparare gli incontri che altro non sono che stupri di gruppo in un processo ripetitivo e sempre uguale. Il mondo interno del perverso è intriso di un senso segreto di inadeguatezza (Dominique è un lavoratore fallito che ha riempito la famiglia di debiti), nutre sentimenti umilianti e di inferiorità -probabile retaggio di esperienza traumatiche-, ciò che disprezza di sé, la propria inermità, debolezza, dipendenza, sono parti proiettate nella vittima che vanno punite e mortificate.
Il tema dell’incesto è sotteso in tutto lo scritto. L’incesto è una problematica associata all’essere umano dagli inizi della storia, compare nella Bibbia, nella mitologia, nella letteratura e nell’antropologia. Nel testo Totem e tabù (1912) Freud realizza un’indagine che lo porterà alla grande scoperta psicoanalitica, cioè quello che si istituisce come risultato del complesso di Edipo: “la proibizione del godimento intergenerazionale”.
Lévi-Strauss (1949) fa della proibizione dell’incesto la legge universale comune a tutte le culture e in qualche modo il fondamento dell’ordine culturale, in cui si produce il passaggio dalla naturalezza alla cultura, costituendo un nuovo ordine, pronunciando il primato dell’esogamia sull’endogamia.
La proibizione dell’incesto, intesa nel senso di istituzione, sancisce un ordine, in cui ciascuno occupa un posto, quello che gli è assegnato nella struttura. L’esistenza della famiglia suppone da sempre un ordine che permette di riconoscere chi è chi, qual è il posto di ciascuno.
Benveniste (1969) in uno studio sull’evoluzione dei diversi termini di parentela nelle lingue indoeuropee, stabilisce che il valore del termine di parentela è dato per il posto occupato nella struttura familiare, che al di là del dato biologico, si esprime nella capacità dell’esercizio della funzione parentale. In questo senso si potrebbe affermare che tutta la maternità, o tutta la paternità, è adottiva, giacché richiede di riconoscere l’altro e riconoscersi in una catena di funzioni simboliche transgenerazionali. L’emergenza del soggetto in un ordine simbolico familiare presuppone l’esistenza di differenze generazionali. La funzione della famiglia è la produzione di alterità.
Con il titolo del libro “E ho smesso di chiamarti papà” e con la sostituzione del cognome del padre con un cognome d’arte, l’autrice rappresenta come suo padre abbia cancellato la funzione simbolica paterna.
Parafrasando Racamier (2003), possiamo affermare che l’incesto è il rovescio dell’Edipo. Nella configurazione psicopatologica familiare incestuosa si produce un attacco alla triangolazione edipica, cancellando i vertici che nominano i posti descritti per i termini: padre, madre, figlio/a.
Caroline non solo perde suo padre, perde anche parte del rapporto con la madre. Sostiene che il legame fra di loro è stato inevitabilmente danneggiato. La tragedia in una famiglia è sistemica, colpisce ogni suo membro. Sua madre ha divorziato, questo le permetterebbe di ricostruire la sua vita come meglio potrà. Per Caroline e i suoi fratelli qual è la prospettiva? Non si divorzia dai propri padri. Si vive con l’eredità filiale che i genitori lasciano.
Un intento di tagliare i ponti con un modello ereditario, nel tentativo di non trasmetterlo inconsapevolmente (Caroline è madre di un bambino che all’epoca aveva sei anni), è stato quello di trasformare il suo dramma in una lotta sociale fondando un’associazione #MendorsPas: stop à la Soumission chimica (Non mi addormentare: stop alla sottomissione chimica). La sottomissione chimica è un fenomeno ancora poco conosciuto. In oltre il 75% dei casi è perpetrata da qualcuno che conosce benissimo le vittime. Questo genere di crimine si verifica soprattutto nella sfera domestica. In Francia, si stima che oltre 70 mila persone pratichino la sottomissione chimica.
Caroline scrive: “Voglio trascendere questa terribile eredità paterna, trasformare tutto il fango in materia nobile.” Amati Sas (2020), dall’esperienza del del lavoro svolto con sopravvissuti di violenze estreme afferma“… la vittima attraversa momenti di acuta “onnipotenza salvatrice”, momenti di lucidità nei quali avverte la minaccia di un pericolo interno, di una depersonalizzazione o di un crollo della sua identità, avverte cioè la realtà della sua alienazione; momenti di insight, durante o dopo la situazione traumatica, che danno origine ad atti auto-salvatori (scappare, testimoniare o cercare aiuto)”...“in tutti i pazienti che ho conosciuto, il desiderio di salvarsi si è manifestato attraverso il desiderio di salvare qualcun altro.” L’”oggetto da salvare” è un oggetto interno rappresentante della capacità depressiva del paziente, dei suoi desideri e delle speranze di riparazione, di indipendenza e di integrità.
Il desiderio di Caroline di aiutare le vittime di sottomissione chimica è il bisogno di salvare dentro di sé un rappresentante umano che è sull’orlo di essere annientato nella realtà dell’orrore subito.
Bibliografia
Amati Sas S. (2020) Ambiguità, conformismo e adattamento alla violenza sociale. FrancoAngeli, Milano.
Benveniste. E. (1969) Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee. Einaudi, Torino, 1981.
Bleger J. (1967) Simbiosi e ambiguità. Libreria editrice Lauretana. Loreto, 1992.
De Masi F. (1999) La perversione sadomasochistica, Bollati Boringhieri
Freud S. (1912) Totem e Tabu O.S.F., vol. 7, Bollati Boringhieri, Torino.
Lévi-Strauss C. (1949) Le strutture elementari della parentela. Feltrinelli, Milano. 1972.
Micati L. (4/10/2021) La perversione, Spiweb
Racamier P. C. (1995) Incesto e Incestuale, Franco Angeli, Milano. 2003.
Tesone J.E. (2004) Los incestos y la negacion de la alteridad. Revista de Psicoanalisis. LXI, 4, 2004.