Sabato 30 Aprile presso l’Auditorium della Mole Vanvitelliana si è tenuto il secondo incontro organizzato dall’Istituto Gramsci, patrocinato dal Comune di Ancona e dal Centro Adriatico di Psicoanalisi.
Il Direttore dell’Istituto Gramsci, Mario Carassai, ha introdotto il tema della giornata parlando degli effetti devastanti della pandemia a livello sociale soprattutto sui giovanissimi, costretti ad una prolungata attività on-line che, da un lato ha permesso loro di mantenere una relazione con il mondo esterno ma dall’altro li ha “ammanettati” ai monitor ponendoli a rischio isolamento dalle relazioni reali. A seguito di un momento storico così complesso da attraversare appare cruciale recuperare i valori che hanno a che fare con la salute psicofisica della persona ed attuare interventi a supporto di ciò.
Daniela Marangoni, Psichiatra, Psicoanalista SPI e IPA ha sottolineato come l’arrivo del Covid-19 ha cambiato le prospettive delle persone obbligandole a confrontarsi con la fragilità umana, con l’incertezza circa il futuro, con sentimenti di smarrimento ed angoscia che hanno portato le persone verso schemi difensivi di scissione e negazione nel tentativo di trovare degli adattamenti ad una realtà divenuta più instabile e inaffidabile. Un’irruzione devastante quella del virus, che usando le parole di Anna Ferruta sembra aver alterato la fiducia di base che alla nascita ogni individuo ripone nell’ambiente in cui vive comprensivo delle persone che lo accolgono e gli danno la possibilità di svilupparsi.
La pandemia ha rappresentato un ostacolo alla possibilità di mantenere capacità di relazione e d’incontro appagante con l’altro. Sono infatti cambiate le prospettive; ciò che era considerato criticabile diventa necessario e salvifico, come l’isolamento e l’uso assiduo degli strumenti digitali che prima del Covid-19 venivano disapprovati ed ora divengono mezzi indispensabili alla comunicazione e alla cura dell’altro. La pandemia ha segnato una linea tra un prima e un dopo modificando il nostro modo di esserci, relazionarci e prenderci cura dell’altro.
Gli adolescenti hanno pagato un prezzo elevato a causa della particolare fase di vita che attraversano, in piena trasformazione e alla ricerca di modelli identificativi. Il corpo, centrale per l’adolescente, è stato il primo bersaglio colpito dal nemico invisibile. Di fronte ad un possibile attacco il corpo deve, infatti, essere protetto e obbligato ad un distacco forzato dagli altri, isolato.
L’adolescente si è trovato improvvisamente privato della possibilità di poter condividere le esperienze affettive indispensabili per rimanere vivi psichicamente. I bisogni hanno sovrastato i desideri, creando distorsioni e blocchi dello sviluppo. L’uso dei social da parte dei ragazzi, comportamento prima discusso e criticato dagli stessi genitori degli adolescenti è divenuto risorsa indispensabile per mantenere una socialità che ha salvato dalla solitudine. Essendo il mezzo tecnologico privo di sensorialità corporea ha esposto però al rischio di rimanere in balia dei propri oggetti fantasmatici non contrastati dal rispecchiamento con gli oggetti della realtà fattuale. L’assenza di un continuo confronto con il reale può favorire processi imitativi anziché un processo di soggettivizzazione che necessita di continua e modulata identificazione con un reale confronto con l’altro da sé.
Emanuele Frontoni professore ordinario di informatica all’UNIMC e co-director del VRAI Lab a UNIVPM, Ancona, ricercatore in ambito di intelligenza artificiale, ha illustrato le numerose possibilità e potenzialità di utilizzo dello strumento tecnologico.
I vari livelli di impiego dell’intelligenza artificiale spaziano da quello più superficiale e ludico che rende spesso molto difficile distinguere ciò che è appartenente al reale da ciò che non lo è, fino ad arrivare a livelli più profondi e complessi in grado di supportare in maniera importante le esigenze umane e la scienza.
Il ruolo dell’uomo appare pertanto cruciale nella scelta dell’utilizzo della tecnologia.
Il professor Frontoni ha mostrato ai partecipanti le principali piattaforme streaming del gioco in cui i ragazzi, dotati di Avatar, cioè identità virtuali giocano tra loro oppure assistono al gioco di altri nella facoltà anche di contribuire dall’esterno all’acquisto di materiale di gioco. Ha stimolato la curiosità tra gli ascoltatori parlando del Dark Web, di Twitch, delle piattaforme streaming, della possibilità di valutare e limitare il tempo di utilizzo delle applicazioni, contenuti sconosciuti alla maggior parte dei partecipanti.
Il dott. Rabboni, Psicologo, Psicoterapeuta, Responsabile U.O. “Integrazione processi clinici” STDP, Ancona, ha aperto una riflessione in merito al significato dell’adolescenza e ai principali compiti evolutivi cui si trova a far fronte l’adolescente. Ciò al fine di demarcare una distinzione - usando le parole di Tisseron - tra uso problematico del mezzo tecnologico quando è solo una parte della realtà della persona che necessità di essere negata e uso patologico quando è invece presente una negazione totale della realtà con perdita totale di contatto con essa.
Il virtuale appare oggi uno dei modi del manifestarsi della realtà, che non si oppone necessariamente al reale.
Nel mondo virtuale attraverso l’interattività l’adolescente ha la possibilità di proiettare i propri contenuti mentali, quelli positivi, così come le proprie angosce e conflitti, di vederli concretamente in azione attraverso i personaggi che creano storie e di calarsi all’interno di essi, cioè viverli come se fosse lì, come esperienza allucinatoria collettiva di tutti gli utenti che giocano.
La possibilità di entrare nel gioco virtuale, in base alle proprie capacità scegliendo un livello di difficoltà è ciò che l’esperienza della lettura di un romanzo o della visione di un film non permettono, così come ricevere un rinforzo positivo ogni qual volta viene superato un livello. Mentre gioca l’adolescente sa chi è, nel gioco si riconosce in quel ruolo che ha scelto. Il virtuale assume così un valore anche di spazio terzo lontano dall’ingerenza dei genitori e offre la possibilità di vivere emozioni dirompenti all’interno di un luogo in cui si ha l’illusione di padroneggiarle.
La tensione così non viene però elaborata, ma solo scaricata all’esterno a causa dell’estrema concretizzazione del gioco. L’adolescente si svuota così di ogni aspetto del mondo interno che rimane impoverito e una volta spento il pc pagherà il costo del ritorno alla realtà e il ripresentarsi delle problematiche che non hanno avuto tempo e spazio di elaborazione ma solo di scarica.
Viene sottolineata la centralità dell’angoscia nella problematica della dipendenza, un’angoscia non affrontabile e non pensabile che viene scaricata attraverso l’agito comportamentale nel luogo virtuale.
Al momento sembrano essere rari i casi di adolescenti con dipendenza tecnologica. Il dott. Rabboni ritiene rischioso definire la problematica attraverso una diagnosi in quanto capace di offrire all’adolescente un marchio molto forte, un’identità di sostituzione “ora so chi sono” che gli consente di riconoscersi in qualche cosa.
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