“Io sono nato a Bologna per caso, solo perché sono nato nel mese di dicembre, altrimenti d’estate sarei nato al mare; noi ci trasferivamo a Rimini dalla fine del mese di marzo, per le vacanze di Pasqua. Cambiavamo scuola e finivamo di frequentare l’anno scolastico al mare. Stavamo al mare fino ai primi freddi …” (362). Il rapporto di Spadoni con l’Adriatico è stato profondo: evocativo delle attività condotte dal nonno e dalla mamma, mitico per le suggestioni avvertite fin dall’infanzia. Il nonno materno, Sebastiano Amati, aveva costruito a Riccione uno dei primi alberghi e a Rimini la prima colonia marina, dopo una gioventù trascorsa sui velieri francesi, che trasportavano arachidi dall’Africa all’Inghilterra. Il mare e la spiaggia erano presenti nelle evocazioni invernali del piccolo Alberto che, con la sorella Sara, giocando, ne riproduceva le onde attraverso le pagine sminuzzate de Il Resto del Carlino. Il gioco infantile si mutò presto in dura necessità, dopo il passaggio del fronte bellico nella Seconda guerra mondiale; fu una circostanza in cui il giovane Alberto dovette contribuire al mantenimento dei propri familiari sfollati in Romagna, “quando non c’era più carne da mangiare e il pane scarseggiava” (367), andando sulla spiaggia di Riccione il mattino presto a raccogliere i cannolicchi. Si trattava di una pesca difficile che il ragazzo compiva con le mani, inserendo le dita nella sabbia e cercando di afferrare il mollusco, talvolta aiutato da una goccia d’olio che rendeva l’acqua trasparente. Aggiungeva: “io utilizzavo il racconto della pesca dei cannelli per spiegare come non bisogna mai forzare le comunicazioni del paziente, ma aspettare che siano vinte naturalmente le resistenze …; la goccia d’olio è il silenzio dell’analista, la sua disponibilità … senza intrusioni” (368), mentre l’errore di una presa troppo precoce lasciava in mano all’incauto pescatore solo il guscio, equiparabile al falso Sé: contatto non autentico destinato al terapeuta frettoloso e intempestivo. La pesca delle seppie condotta attraverso le nasse era un’altra fonte di nutrimento per la famiglia, cui Alberto provvedeva con l’ausilio di un moscone, ricevuto da un capitano della Marina italiana giunto vogando, in fuga dai tedeschi, da Ravenna a Rimini: “del moscone ci impadronimmo io e i miei amici, vi montammo un albero e una vela rudimentale, ricavata dai resti di una tenda militare, e scoprimmo, a furia di tentativi e vari errori, i princìpi della navigazione a vela” (369). Si può affermare, a posteriori, che si trattò di un vero addestramento a superare le difficoltà della vita e delle relazioni, abilità trasfusa da Alberto nel suo lavoro coi pazienti: “io mi sono molto identificato in mia madre, scegliendo l’attività ospedaliera; la psicoanalisi è venuta dopo … Ma appunto per queste origini così lontane questa mia vocazione è indubbiamente intrecciata con gli orizzonti marini” (366). Socio fondatore del Centro Psicoanalitico di Bologna, Spadoni appoggiò la formazione del Centro Adriatico di Psicoanalisi di cui sarebbe divenuto membro onorario, realizzando idealmente un ritorno alle proprie radici romagnole.

AlbertoSpadoni0Negli scritti psicoanalitici, Alberto Spadoni richiama spesso il mare, che, dall’orizzonte adriatico, si muta in mare interno: “perché appartiene alla nostra mente, è il mare delle fantasie e dei sogni”, evocato fin dal gioco infantile di porre l’orecchio alla conchiglia per udirne gli echi, “il mare da cui tutti proveniamo … e dal quale più o meno lentamente ci allontaniamo” (315). Così, l’elemento acquatico costituisce lo spazio delle origini di ciascuno, simbolo e richiamo del liquido amniotico in cui si resta immersi durante i nove mesi della gestazione. E quale miglior metafora della potenza pulsionale se non la burrasca che contribuisce a mantenere liscia e piana la spiaggia dopo le mareggiate? La successione dei marosi e l’attrazione per gli abissi, il mistero delle profondità e il rischio del naufragio, i mostri dell’inconscio e le reti calate in acqua: l’immagine dell’Adriatico nelle pagine di Spadoni incalza e attrae col rischio della perdita di Sé e più compiutamente col senso della scoperta di forze ignote, capaci di far uscire l’individuo dalle difficoltà improvvise e dai pericoli. Il mare per Alberto era anche un elemento adatto a rappresentare la curiosità infinita: quella che lo metteva ogni giorno a contatto con le onde dell’inconscio e le sue continue variazioni, affrontate con saggezza e calore e lo sguardo sempre rivolto al progresso nella cura. Un insegnamento di Spadoni è certamente quello di vivere il trattamento del paziente come un’esperienza marina, scivolando entro le acque della relazione, affidandosi all’istinto del buon navigante che conosce i segreti delle correnti e applica l’istantanea accortezza per condurre in porto, con qualunque tempo, la barca della buona cura, il pescato di una soddisfacente analisi.

“La rabia smanèda de mer,/ i lèun dagli ondi/ e nèun a caminè/ sota i straz dal nòvli/ a pii neud par la spiaggia/ èulta cal spòndi ad biènch/ inzurléid par la bòba/ ch’la s’antèva te pèt”.

(“La rabbia scatenata del mare,/ i leoni delle onde/ e noi a camminare sotto stracci di nuvole/ i piedi nudi sulla sabbia/ lungo i bastioni di bianco/ assordati dal fragore/ che ci entrava nel petto”).

Nino Pedretti

 

Bibliografia

Nino Pedretti. Te fugh de mi paèis (Nel fuoco del mio paese). Forum/Quinta Generazione, Forlì, 1977.

Alberto Spadoni. E l’analisi va … Guaraldi, Rimini, 2007.

We use cookies
Il nostro sito utilizza i cookie, ma solo cookie tecnici e di sessione che sono essenziali per il funzionamento del sito stesso. Non usiamo nessun cookie di profilazione.